Sotto il profilo dell’inerenza del costo sostenuto, l’art. 109, comma 5, del TUIR, dispone che le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscano ad attività o beni da cui derivino ricavi o altri proventi che concorrano a formare il reddito o che non vi concorrano in quanto esclusi.
Spesso l’Amministrazione finanziaria notifica, alle imprese, degli avvisi di accertamento contestando l’indeducibilità di un costo per difetto dell’inerenza, poiché, dalla stessa, ritenuto antieconomico/non congruo.
Ed, invero, secondo l’Agenzia delle Entrate un costo difetterebbe del requisito dell’inerenza se sproporzionato al correlativo ricavo (ritorno dell’investimento).
Tale orientamento erariale è stato recentemente smentito dalla Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza n. 6368 del 2021, depositata in data 08.03.2021.
Secondo i giudici di legittimità, il giudizio sull’inerenza ha “carattere qualitativo e non quantitativo”.
Nello specifico, ciò che conta, ai fini del giudizio sull’inerenza, è la correlazione tra il costo e l’attività imprenditoriale nel suo complesso e non la correlazione tra il costo e il ricavo.
In altri termini, un costo è inerente quando non è estraneo all’attività d’impresa.
Conseguentemente, sono inerenti, pur se antieconomici, tutti i costi sostenuti per l’esercizio dell’attività imprenditoriale; e, quindi, anche le spese sostenute per attività preparatorie o future e di potenziale proiezione dell’impresa.
L’Autore:
AVV. Anna Maria Conti