Confisca e diritti del creditore

La Corte di Cassazione è di recente intervenuta (Sez. VI Penale, Sentenza 2273/2023) per affermare interessanti principi sulla tutela dei creditori di soggetti condannati i cui unici beni avevano formato oggetto di confisca.
La Suprema Corte ha cassato una Ordinanza della Corte di Appello Penale di Roma emessa in sede di opposizione a un incidente di esecuzione, secondo cui la confisca avrebbe dovuto prevalere sulle ragioni del creditore perché il provento del reato “fu utilizzato per il pagamento dei lavori eseguiti dal creditore su un immobile di proprietà” del reo, oggetto della confisca.
Sul punto si rammenta che, ai sensi dell’art. 52, comma 1, del D.Lgs. 159/2011 “la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi (…), nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro (…)”, se:
il diritto di credito risulta “da atti aventi data certa anteriore al sequestro” (art. 52, comma 1, primo periodo);
“il preposto non dispone di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito” (art. 52, comma 1, lett. a);
“il credito non è strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, e comunque il creditore ha agito in buona fede e inconsapevole affidamento” (art. 52, comma 1, lett. B)”.
In applicazione di tale norma, la Cassazione ha annullato con rinvio l’Ordinanza della Corte d’Appello, affermando che nel caso di confisca la posizione del terzo creditore “non può essere pregiudicata sulla base di presunzioni di complicità nel reato per il quale è intervenuta la condanna nei confronti del proprio debitore”.

La strumentalità del credito al reato.
Diretta conseguenza del divieto di ragionamenti presuntivi è, secondo la Suprema Corte, la necessità di una rigorosa prova sulla strumentalità del credito al reato.
Secondo la Cassazione, “anche nel caso in cui la confisca abbia ad oggetto beni che costituiscono il provento o il reimpiego del profitto di reato è pur sempre necessaria la verifica del carattere strumentale del credito rispetto all’attività criminosa per giustificare la prevalenza della confisca sulla tutela dei diritti del terzo”.
Sulla strumentalità di cui sopra, la Suprema Corte indica un chiaro onere della prova a carico dell’accusa e, al contempo, chiarisce cosa debba intendersi per “strumentalità”.
Quanto all’onere della prova, la Cassazione rileva che “il carattere strumentale del credito deve essere oggetto di rigoroso accertamento da parte dell’accusa, giacché non può certamente considerarsi tale un credito che trovi titolo in una prestazione contrattuale priva di un’oggettiva strumentalità con il reato posto in essere dal debitore”.
Anche tale statuizione del Giudice di legittimità costituisce premessa all’annullamento dell’Ordinanza della Corte d’Appello, che si era disinteressata completamente di qualsivoglia collegamento strumentale tra il reato di appropriazione indebita posto in essere dal debitore e il contratto di appalto (avente ad oggetto la ristrutturazione dell’immobile confiscato) da cui originava il credito.
La Corte di Cassazione si sofferma sulla nozione di strumentalità, individuandone i contorni, in negativo e in positivo.
Secondo la Suprema Corte, “non può essere considerato indice del carattere strumentale del credito la sola circostanza che il debitore abbia impiegato del denaro di provenienza illecita per pagare parte del proprio debito, dovendosi trattare di un nesso funzionale che attiene alla causa di insorgenza del credito”.
La Suprema Corte, dopo aver indicato cosa non può ritenersi strumentale al reato, individua in positivo la nozione di strumentalità, specificando cosa debba intendersi per nesso funzionale del credito al reato.
Secondo la Cassazione, il nesso funzionale si rinviene nella “preordinazione della prestazione contrattuale rispetto alla commissione del reato, intesa come forma di investimento del provento o del profitto pianificata con il terzo creditore attraverso la creazione di un credito di comodo, quale mezzo utilizzato per sottrarre i beni agli effetti ablatori della confisca” (Par. 2, quinto periodo, pag. 5 della Sentenza).
Una sorta di preventivo pactum sceleris, quindi, tra il debitore reo e il creditore, il quale addiviene ad un accordo con il primo per sviare i proventi del reato, la cui prova rigorosa non può tuttavia ritenersi raggiunta con mere presunzioni.
Ecco perché la Cassazione esclude la prevalenza della confisca sul credito, quando esista una prova, con data certa, dell’anteriorità del credito rispetto al sequestro.

La malafede del creditore.
La Suprema Corte precisa, poi, che in assenza di una rigorosa prova sulla strumentalità del credito al reato, il cui onere è in capo all’accusa, è però sempre possibile negare tutela al creditore (terzo estraneo al reato), ma solo ed esclusivamente nel caso in cui l’accusa dimostri, ancora una volta in maniera “rigorosa”, la malafede del creditore stesso.
Anche sul punto, infatti, la Cassazione, riferendosi alla fattispecie oggetto di giudizio, esclude qualunque ragionamento presuntivo.
La Cassazione esige un “rigoroso riscontro probatorio con onere a carico dell’accusa” sulla malafede del terzo, affermando che “non possono introdursi forme di presunzione di complicità nel reato rispetto a rapporti contrattuali che rientrano nell’ordinaria dinamica di mercato”.
Secondo la Suprema Corte, tale principio è di ordine sistematico, in quanto “il sacrificio dei diritti vantati da terzi sui beni oggetto di confisca non può essere ritenuto conforme ai principi generali dell’ordinamento lì ove il terzo sia da ritenersi estraneo alla condotta illecita altrui”.
Ne consegue, ad avviso dei Giudici di legittimità, che “solo allorché l’origine del credito sia obiettivamente strumentale all’attività criminale del debitore, spetta al creditore provare la propria buonafede, perché solo in tale caso la situazione di fatto, in ragione della stretta correlazione che esiste con l’attività illecita del condannato, confligge di per sé con la presunzione di buonafede del terzo” (la Cassazione cita, sul punto, anche il proprio precedente 30153/2023, Banca Ifis Spa).

Anteriorità del credito.
La Cassazione, al riguardo, rileva che “Nel caso di specie, trattandosi di credito non assistito da un diritto reale di garanzia (ipoteca), non può ritenersi sufficiente l’anteriorità della trascrizione del pignoramento immobiliare rispetto alla trascrizione del sequestro, ma deve anche essere comunque verificata l’anteriorità del credito rispetto al sequestro, che deve risultare da atto avente data certa, quale condizioni espressamente richiesta dall’art. 52 del cit. d.lgs. n. 159 del 2011, oltre alla assenza di complicità o di colpevole affidamento”.
Orbene, la data certa dell’anteriorità del credito al sequestro si può provare, in assenza di contratti registrati:
con le fatture emesse nei confronti del reo che, in quanto oggetto di registrazione (art .21 e 23 dPR 633/72), presentano oggettive condizioni di certezza della data;
con provvedimenti giudiziali che diano conto dell’esistenza del credito (decreti ingiuntivi, sentenze).

La prova di buona fede.

Nel caso in cui l’accusa dimostrasse la strumentalità del credito al reato e la mala fede del creditore, quest’ultimo dovrà offrire prova contraria dimostrando la sua buona fede.
La Suprema Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 28034 del 2021, ha chiarito che “la buona fede è da riconoscere quando emerge una credibile inconsapevolezza delle attività svolte dal prevenuto e, a tal fine, il legislatore ha inteso richiamare il concetto civilistico della tutela dell’affidamento incolpevole: la conseguenza è che il convincimento del terzo sulla situazione apparente deve essere incolpevole e la relativa indagine sul punto deve compiersi caso per caso con riferimento alla ragionevolezza dell’affidamento”, soggiungendo che “la legge indica i criteri in base ai quali valutare la buonafede, precisando che il giudice deve tener conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla. sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi […] la buona fede è da riconoscere quanto emerge una credibile inconsapevolezza delle attività svolte dal prevenuto e la indagine sul punto deve compiersi caso per caso con riferimento alla ragionevolezza dell’affidamento”.
In conclusione, il recente arresto della Suprema Corte assume rilievo nell’avere indicato che le ragioni del creditore del reo non possono essere pregiudicate da una confisca, nel caso in cui l’accusa non provi rigorosamente il nesso di funzionalità del credito alla commissione del reato. Escludendosi sul punto qualunque ragionamento presuntivo, ritenuto inidoneo dalla Cassazione per escludere la tutela del creditore di fronte ad un provvedimento ablativo che pregiudichi indebitamente le sue ragioni.
Conclusione da condividersi sulla base della congruità del ragionamento che, tutelando il credito, impedisce l’“impoverimento” ingiustificato del singolo, a fronte dell’arricchimento della collettività a discapito del reo e giammai di un creditore estraneo al reato, di cui non sia stata provata la malafede.

L’Autore
Avv. Marco Giontella


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