Nel gioco delle parti, tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, è sempre aperto il dibattito su quali attività abbiano natura commerciale e siano, pertanto, soggette a tutti gli adempimenti IVA (dichiarazione di inizio attività, fatturazione, registrazioni, liquidazioni periodiche e dichiarazione annuale), nonché al regime di tassazione previsto per le attività commerciali ai fini delle imposte sui redditi.
In tale gioco si perviene, sovente, a conclusioni dettate dai contrapposti interessi dell’Amministrazione finanziaria e del contribuente. Se, infatti, lo svolgimento di attività commerciali determina il sorgere di obbligazioni sia formali che sostanziali a carico del contribuente, da esso consegue il legittimo esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, altrimenti limitato e sottoposto a specifiche condizioni (art. 19ter d.P.R. 633/72).
La relativa questione affonda le proprie radici nelle Direttive comunitarie, secondo le quali è attività commerciale qualsivoglia attività economica diretta allo svolgimento di prestazioni di servizi o cessioni di beni.
Nel nostro ordinamento, ai fini dell’IVA, dette Direttive sono state recepite negli artt. 4 e 5 del d.P.R. 633/1972, il quale delimita le nozioni di attività di impresa e professionali.
In concreto, è rimesso ad un apprezzamento di fatto il giudizio sul concreto atteggiarsi delle attività svolte, al fine di valutare se dette attività possano o meno ricondursi alla nozione di attività economica.
La notazione che mi viene spontanea, o meglio che deriva dalla mia esperienza professionale, è collegata all’immanente incertezza del diritto tributario, preda dei suoi interessati interpreti.
E mi spiego.
Se il contribuente decide che la propria attività non è commerciale, non è tenuto agli adempimenti formali e sostanziali del decreto IVA: se l’Ufficio non la pensa così, nei suoi confronti sarà recuperata l’imposta non versata e saranno, conseguentemente, applicate le sanzioni per gli omessi adempimenti formali.
Se, al contrario, il contribuente ritiene che la propria attività sia commerciale, ottempererà ai suddetti adempimenti: se l’Ufficio non la pensa così, disconoscerà la detrazione dell’IVA sugli acquisti del contribuente.
E non sono due casi di scuola, in quanto il nostro Studio si è trovato ad affrontarli entrambi, fortunatamente con esiti, sino ad oggi, totalmente positivi per il contribuente.
Attività di case vacanze.
Sul punto, merita attenzione il contenzioso tributario, originato da una serie di accertamenti emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una Cooperativa operante all’interno di un villaggio turistico.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’attività svolta dalla Cooperativa si sarebbe dovuta considerare un’attività commerciale, in quanto le attività ricettive (portierato) e la presenza all’interno del villaggio di ristoranti e negozi, avrebbero dovuto ricondurre detta attività nell’ambito di una vera e propria attività alberghiera.
Con una serie di pronunce, la CTP di Brescia (n. 681/4/2018, n. 702/4/2019 e n. 425/4/2020) ha però escluso la natura commerciale delle attività svolte dalla Cooperativa, assimilandole ad un vero e proprio condominio, piuttosto che ad un albergo.
La conclusione cui sono giunti i giudici si fonda, in particolare, sull’insieme delle seguenti circostanze:
assenza di fini di lucro, sia a livello statutario che in concreto;
inesistenza di costi riferibili ad operazioni diverse dalla mera manutenzione degli spazi comuni;
assenza di personale diverso da quello di portierato e guardiania;
riconducibilità delle attività commerciali e di ristorazione a soggetti estranei alla Cooperativa, quali semplici conduttori dei locali di svolgimento della loro attività.
Dette circostanze, singolarmente considerate, non sarebbero state sufficienti ad escludere la natura commerciale dell’attività (la sola mancanza di fine di lucro o di organizzazione, secondo numerosi arresti giurisprudenziali della Cassazione, non è idonea ad escludere la commercialità dell’attività), ma nel loro insieme hanno convinto i giudici a ritenere infondate le pretese dell’Amministrazione finanziaria.
Attività di associazione di categoria di promozione dei prodotti dei propri associati.
Al contrario di quanto illustrato in relazione alla Cooperativa di case vacanza, una Associazione di categoria ha adempiuto a tutte le obbligazioni formali e sostanziali previste dal Decreto IVA, considerando la propria attività come commerciale.
Detta Associazione di categoria, in particolare, svolgeva attività di promozione dei prodotti commercializzati da tutti i propri associati, finanziandosi, in prevalenza con contributi europei e, in parte, con contributi dei propri associati.
Quale ente di natura commerciale, detta Associazione di categoria detraeva l’IVA sugli acquisti di beni e servizi, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. 633/72.
L’Ufficio competente non riteneva, tuttavia, sussistenti i presupposti di commercialità dell’attività svolta dall’Associazione e, pertanto, recuperava tutta l’IVA detratta dal contribuente.
Anche in tal caso era evidentemente assente il fine di lucro, il quale, però, come si è visto, non consente da solo di escludere la natura commerciale dell’attività svolta.
Inoltre, l’attività promozionale, anche se riferita ai prodotti dei propri associati, non poteva escludere la natura commerciale dell’attività per presunzione iuris et de iure (art. 4, quinto comma, d.P.R. 633/72).
Queste sono le conclusioni cui è pervenuta la Commissione Tributaria di secondo grado di Trento
(Sentenza n. 106/01/2017), con un’articolata sentenza, degna di nota per l’approfondimento sulle relative questioni di fatto e giuridiche sottoposte alla sua attenzione.
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Le descritte opposte vicende ben rappresentano le incertezze in cui si trova ad operare il contribuente, sospeso tra l’adozione o meno di comportamenti che potrebbero, comunque, esporlo a recuperi di materia imponibile e all’applicazione delle relative sanzioni.
E sarebbe superficiale concludere che la complessità del nostro sistema tributario non consente l’adozione di rimedi a questa incertezza, diversi da una riforma complessiva del sistema, sulla quale i politici di turno fanno manifesti che negli ultimi 50 anni (48 per la precisione) non abbiamo avuto la fortuna di leggere…
Mi piace, infatti, pensare ad un mondo non certo ideale ma meno kafkiano, nel quale i giudici di qualunque ordine e grado adottino lo strumento della condanna alle spese giudiziali in misura severa nei confronti di chi abusa dei propri poteri o del processo e nel quale i nostri soldi (soldi pubblici) vengano correttamente utilizzati e non sperperati, da parte di funzionari deresponsabilizzati nelle attività che svolgono.
Le sentenze
Commissione Tributaria Provinciale di Brescia n. 425_2020 del 14 dicembre 2020
Sentenza CTP
Sentenza CTP 681
Assomela CT 2 gr TN Sent n. 106_01_2017
L’Autore
Avv. Marco Giontella