Come noto, in forza dell’art. 6 del DL 511 del 1988 – abrogato, in data 1° aprile 2012, dall’art. 4, comma 10, del DL n. 16 del 2012 – tutte le imprese fornitrici e utilizzatrici di energia elettrica erano tenute a versare l’addizionale provinciale all’accisa.
Con la Sentenza n. 27101 del 2019, la Corte di Cassazione ha affermato l’incompatibilità del predetto tributo con l’art. 1, par. 2, della Direttiva n. 2008/118/CE, a mente del quale: “Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni”.
In particolare, i giudici di legittimità dopo aver chiarito che “perché le addizionali provinciali siano legittime ai sensi della direttiva n. 2008/118/CE occorre il cumulativo riscontro di due requisiti e, cioè: 1) il rispetto delle regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta; 2) la sussistenza di una finalità specifica”, hanno rilevato che, nel caso dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica di cui all’art. 6 del DL 511 del 1988, “Non è … rispettata la seconda condizione, in quanto né la disposizione di cui all’art. 6, né il decreto 11 giugno 2007 del capo dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell’economia e delle finanze previsto dal comma 2 del medesimo articolo chiariscono in alcun modo le specifiche finalità che le addizionali dovrebbero andare a soddisfare, non essendo in armonia con il diritto unionale la destinazione di tali addizionali a semplici finalità di bilancio”.
Conclude, pertanto, la Suprema Corte di Cassazione, affermando il seguente principio di diritto: “l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art.6, nella sua versione, applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 26 del 2007, art.5, comma 1, va disapplicata per contrasto con l’art. 1, p. 2, della direttiva n. 2008/118/CE”.
Dall’incompatibilità comunitaria del tributo in esame – sancita dalla Sentenza della Suprema Corte di Cassazione sopratrascritta – consegue il diritto al rimborso di tutte le imprese (fornitrice e utilizzatrici) che, nel vigore dell’art. 6 del DL 511 del 1988, hanno corrisposto l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica.
Quanto alle modalità con le quali potrà essere esercitato il predetto diritto al rimborso, la Suprema Corte di Cassazione, nelle Sentenze nn. 27099 e 29980 del 2019, ha specificato che: “Il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;
5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria … nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;
6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale e delle addizionali, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore)”.
Alla luce delle Sentenze nn. 27099 e 29980 del 2019 della Suprema Corte di Cassazione sopratrascritte, è possibile concludere quanto segue.
L’impresa utilizzatrice potrà ottenere il rimborso dell’imposta in esame esercitando l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., dinanzi il Giudice ordinario, nei confronti:
- del proprio fornitore di energia elettrica;
- dell’Amministrazione finanziaria, soltanto qualora essa riesca a dimostrate che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore).
Azione di ripetizione dell’indebito che si prescrive in 10 anni, a partire dal pagamento della bolletta che includeva l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica.
Pertanto, nel caso in cui la predetta azione venisse esercitata oggi, si potrebbe richiedere la restituzione di tutti i versamenti dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, effettuati dal 7.04.2010 al 31.03.2012 (essendo stato, l’art. 6 del DL 511 del 1988, abrogato, in data 1° aprile 2012).
Quanto al fornitore, l’esercizio del proprio diritto al rimborso è subordinato al passaggio in giudicato della Sentenza del Giudice ordinario che lo condanna a restituire, all’utilizzatore, l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica da lui indicata in bolletta. Ed, invero, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione nelle sentenze sopratrascritte, l’istanza di rimborso potrà essere presentata, all’Amministrazione finanziaria, nel termine di 90 giorni dal predetto passaggio in giudicato.
Qualora alla suddetta istanza di rimborsa segua un esplicito di diniego, questo dovrà essere impugnato, entro 60 giorni dalla notificazione del provvedimento (art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992), con ricorso, dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale territorialmente competente.
Nel caso, invece, di silenzio dell’Amministrazione (c.d. rifiuto tacito), il ricorso dovrà essere proposto entro 90 giorni dalla domanda di restituzione (art. 20, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992).
L’Autore:
AVV. Anna Maria Conti