Il trust non esiste fiscalmente se il potere di gestire e disporre dei beni rimane in capo al disponente

Con la risposta n. 381 del 11.09.2019, l’Agenzia delle Entrate ha negato l’esistenza fiscale del trust il cui atto costitutivo prevedeva la conservazione dei poteri gestori in capo al disponente.

Come noto, il trust si sostanzia in un negozio giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor) e gestore (trustee). Il disponente trasferisce alcuni beni di sua proprietà al trust e designa un gestore che li amministra nell’interesse dei beneficiari, individuati in sede di costituzione del trust o in un momento successivo, o per uno scopo prestabilito.

L’effetto principale dell’istituzione di un trust è la segregazione patrimoniale in virtù della quale i beni in trust costituiscono un patrimonio separato e autonomo rispetto al patrimonio del disponente, del trustee e dei beneficiari, con la conseguenza che tali beni non potranno essere escussi dai creditori di tali soggetti.

Con l’articolo 1, commi da 74 a 76, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il legislatore nazionale ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento tributario alcune disposizioni in materia di trust (strumento tipico dei sistemi giuridici di common law) modificando l’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e includendo i trust tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società.

E’ stata così riconosciuta al trust un’autonoma soggettività tributaria estendendo ad esso l’imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali

Relativamente all’esistenza fiscale del trust, l’Amministrazione finanziaria, ha affermato che:“di essenziale importanza è l’effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui effettivamente affidati dal disponente. Ne consegue che quest’ultimo non può riservare a sé stesso il potere né il controllo sui beni del trust in modo da precludere al trustee il pieno esercizio dei poteri dispositivi a lui spettanti in base al regolamento del trust o alla legge. Se, pertanto, il potere di gestire e disporre dei beni permane in tutto o in parte in capo al disponente … il trust deve considerarsi inesistente dal punto di vista dell’imposizione dei redditi da esso prodotti. In altri termini, in tali casi il trust viene a configurarsi come struttura meramente interposta rispetto al disponente, al quale devono continuare ad essere attribuiti i redditi solo formalmente prodotti dal trust.” (circolare 61/E del 2010).

Nella risposta in commento, l’Agenzia delle Entrate ha negato l’esistenza fiscale del trust, il cui atto costitutivo prevedeva:

  • la possibilità per il Disponente di attribuire al coniuge crediti verso il Trustee;
  • che il Trustee non era legittimato a compiere alcun atto di disposizione, di impiego o di garanzia su un bene in trust in contrasto con le determinazioni “espresse” dalla persona che aveva incrementato il fondo per mezzo di tale bene;
  • che il Trustee poteva essere revocato in qualsiasi momento dal disponente.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, “tali previsioni limitino l’effettiva autonomia del Trustee dal momento che il suo potere gestorio è sostanzialmente e in definitiva subordinato alla volontà del Disponente”, pertanto il trust deve ritenersi “fiscalmente inesistenze”; conseguentemente, “i redditi formalmente prodotti dal trust dovranno essere assoggettati a tassazione in capo al Disponente secondo i principi generali previsti per ciascuna delle categorie reddituali di appartenenza”.

L’Autore:
AVV. Anna Maria Conti

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