Decreto crescita: il contraddittorio endoprocedimentale generalizzato è un’illusione
Attualmente, come chiarito dalla costante giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. n. 24823 del 2015), il diritto al contraddittorio endoprocedimentale esiste, per i tributi non armonizzati, nei soli casi in cui sia espressamente previsto dalla legge come, ad esempio, gli studi di settore, l’interpretazione degli atti in materia di imposta di registro e l’abuso del diritto.
Diverso è il quadro offerto dal diritto dell’Unione Europea che prevede, in materia di tributi armonizzati, un generale obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.
L’articolo 4-octies del D.L. n. 34 del 2019 (c.d. decreto crescita), convertito con modificazioni, dalla L. n. 58 del 2019, ha inserito, nel D.Lgs. n. 218 del 1997, il nuovo articolo 5-ter, che entrerà in vigore il 1° luglio del 2020, a mente del quale: “L’ufficio… prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire di cui all’articolo 5 per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento”.
Negli atti parlamentari, si afferma che con il citato articolo 5-ter “viene introdotto un obbligo generalizzato del contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento” (Dossier del 20 giugno 2019, D.L. 34 del 2019, A.C. 1807 – A/R, p. 44).
In realtà, contrariamente alle intenzioni del Legislatore, il nuovo articolo 5-ter non introduce, in materia di tributi non armonizzati, un generale obbligo di contraddittorio preventivo.
Ed, invero, sotto il profilo oggettivo, l’articolo 5-ter esclude espressamente dalla sua portata applicativa:
- i casi in cui sia rilasciato il processo verbale di constatazione (art. 5 ter, comma 1, D.Lgs. n. 218 del 1997);
- gli avvisi di accertamento parziale di cui all’articolo 41 -bis del DPR 600/1973 e gli avvisi di rettifica parziale previsti dall’art. 54, terzo e quarto comma, del DPR 633/1972 (art. 5 ter, comma 2, D.Lgs. n. 218 del 1997);
- le ipotesi di particolare urgenza o di fondato pericolo per la riscossione (art. 5 ter, comma 4, D.Lgs. n. 218 del 1997).
Di fatto, la disposizione normativa in commento esclude dal suo campo di applicazione oggettivo la maggior parte degli atti impositivi. Ragione per cui non può di certo ritenersi che il decreto crescita abbia introdotto un obbligo di contraddittorio preventivo generalizzato.
Peraltro, l’obbligo di contraddittorio preventivo di cui all’art. 5- ter è debole rispetto a quello già previsto dalle singole disposizioni normative.
Si pensi, ad esempio, alla garanzia procedimentale prestata, al contribuente, dall’articolo 10-bis, comma 6, del L. n. 212 del 2000, in materia di abuso del diritto, secondo cui: “Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto”.
In tale caso, l’invalidità dell’atto impositivo opera automaticamente per effetto della violazione della norma procedimentale.
La norma in commento, invece, subordina l’invalidità dell’atto impositivo, emesso in violazione dell’obbligo endoprocedimentale, alla condizione che “a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato” (art. 5 ter comma 5).
Diversamente da quanto previsto in tema di abuso del diritto, l’invalidità dell’atto è, quindi, sottoposta alla c.d. “prova di resistenza”.
Prova di resistenza la cui previsione, oltre a limitare fortemente la portata garantista della nuova disposizione, deroga al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “l’operatività della c.d. prova di resistenza non può che essere circoscritta al caso di assenza di una specifica previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio” (Cass. n. 702/2019).
Ed, invero, la Corte di Cassazione è ormai ferma nel ritenere che la prova di resistenza incombe sul contribuente, soltanto nel caso in cui la sanzione dell’invalidità dell’atto impositivo per inosservanza della norma procedimentale, non sia espressamente prevista dalla legge.
Nel caso in esame, avendo il Legislatore espressamente prescritto la sanzione dell’invalidità dell’atto affetto dal vizio procedimentale, in ossequio al principio di diritto della giurisprudenza di legittimità sopra trascritto, avrebbe dovuto omettere, nel corpo della disposizione in commento, il riferimento alla prova di resistenza.
Il contribuente deve ancora una volta “subire” l’intervento normativo, in spregio all’interpretazione faticosamente consolidatasi in seno alla Corte di Cassazione (Cass. n. 12451 del 2019; Cass. n. 701 del 2019; Cass. n. 702 del 2019).
L’Autore:
AVV. Anna Maria Conti