Pace Fiscale sulle liti pendenti: quali atti sono definibili?

Tra le novità previste dal recentissimo Decreto fiscale (D. L. 23 ottobre 2018 n. 119) – recante disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria – merita un attento approfondimento quella disciplinata dall’articolo 6, riguardante la “definizione agevolata delle controversie tributarie”, che prevede la facoltà, per tutti coloro che abbiano processi tributari pendenti, di definire in via agevolata la controversia.
Il primo comma del suddetto articolo dispone che: “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio (…), con il pagamento di un importo pari al valore della controversia”.
La definizione deve intervenire su istanza del contribuente parte del giudizio, mediante pagamento degli importi dovuti (o della prima rata) entro il 31 maggio 2019, ma di tali aspetti mi occuperò in un altro articolo. Per esigenze pratiche, mi limiterò, al momento, alla individuazione degli atti definibili, in relazione al concetto di “atto impositivo” utilizzato dal Legislatore nel citato primo comma.
L’attuale testo in vigore prevede, infatti, come condizione per poter usufruire della definizione agevolata, che la controversia pendente abbia ad oggetto un ‘atto impositivo’.
Sulla base di un’interpretazione letterale della locuzione “atto impositivo”, sembra potersi ritenere che “atto impositivo” sia unicamente quell’atto che contenga una pretesa tributaria definita nell’an e nel quantum, tanto da doversi ritenere atto impugnabile davanti agli organi della giurisdizione tributaria, ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Nulla quaestio in relazione agli avvisi di accertamento del tributo: trattandosi di vero e proprio atto impositivo la controversia potrà essere sicuramente definita con le modalità agevolate. Più delicata è la questione sulla definibilità dell’avviso di accertamento che provveda alla rettifica delle perdite in diminuzione e dell’accertamento con valore indeterminabile: in tali casi, infatti, il valore della controversia sarebbe, nel primo caso, pari a zero e, nel secondo caso, non determinabile. Sarebbe, d’altro canto, illogico escludere l’applicabilità della definizione anche a tali particolari tipologie di accertamento. Tale esclusione impedirebbe, infatti, la possibilità di eliminare le sanzioni e non consentirebbe la caducazione della rettifica che ha ridotto tali perdite. Sarebbe, ad ogni modo, auspicabile una precisa presa di posizione del Legislatore sul punto, in sede di conversione o di Decreto di attuazione. 
Nessuna problematica dovrebbe, invece, sorgere con riferimento agli avvisi di liquidazione del tributo ex artt. 36bis e 36ter del d.P.R. n. 600/1973, in quanto determinano una rilevazione di una maggiore imposta a carico del contribuente (anche a seguito di errori), che dovrà solo essere riscossa. Anche tali atti hanno, di conseguenza, natura impositiva.
Ma cosa accade, invece, quando la lite pendente ha ad oggetto un atto successivo a quello propriamente impositivo, il quale si è impugnato sulla base di un difetto di notificazione del relativo atto presupposto? In altre parole, ci si chiede se anche una cartella di pagamento, un ruolo o un avviso di intimazione di pagamento, i cui rispettivi atti prodromici non siano stati portati a conoscenza del contribuente per illegittimità dei procedimenti notificatori, possano rivestire la natura di “atti impositivi”. Al riguardo, si deve sottolineare come la nozione di “atto impositivo” non abbia natura formale, ma si qualifichi per il contenuto sostanziale del provvedimento interessato. Ciò sta a significare che non rileva come l’atto sia denominato ovvero che sia finalizzato alla riscossione delle somme dovute, ma occorre verificare, in concreto, la reale portata della pretesa. Infatti, nel caso in cui la cartella di pagamento sia, ad esempio, il primo atto di cui viene a conoscenza il contribuente, il fatto che il Legislatore attribuisca la facoltà al contribuente di contestare, assieme alla cartella, anche il merito accertato nell’atto presupposto mai notificato, consente, inoltre, di ritenere che la controversia sia, in tali casi, definibile secondo le modalità previste dalla disposizione oggetto di commento.
E’ evidentemente chiaro come non abbiano carattere “impositivo” tutti quegli atti ove non sia in discussione il quantum della pretesa erariale, come, ad esempio, le iscrizioni ipotecarie; i fermi amministrativi di beni mobili registrati; i rifiuti espressi o taciti alla restituzione di tributi, sanzioni ed interessi non dovuti. 
Ed i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni? Producono effetti equivalenti agli atti di natura impositiva? La risposta è affermativa: sarà, in tal senso, sufficiente effettuare un’interpretazione di natura sistematica ricollegandosi al comma 3 dello stesso articolo 6, il quale prevede, per l’appunto, la possibilità di definire con modalità agevolate anche le controversie pendenti che abbiano ad oggetto esclusivamente atti di irrogazione di sanzioni (non collegate al tributo, ovvero non proporzionali ad esso) e, pertanto, privi di quel carattere ‘impositivo’ in senso stretto.
L’auspicio, onde evitare problematicità, è che si acceda ad una lettura ampia ed estensiva, nonché di natura sostanziale, della nozione di “atto impositivo”. Non sarebbe forse opportuno eliminare tale locuzione e fare così riferimento a tutte le controversie, ove controparte sia l’Agenzia delle Entrate, che comportino richieste di maggiori tributi e/o applicazioni di sanzioni?
L’Autore:
DOTT. Edoardo Giontella

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