Il Requisito dell’Inerenza Prescinde dalla Correlazione del Costo con il Ricavo

Con l’Ordinanza n. 13882 del 31 maggio 2018, i giudici di legittimità hanno cassato la Sentenza della CTR, nella parte in cui i giudici di merito hanno ritenuto che “l’inerenza intesa in senso tecnico – sul piano tributario – non ha bisogno di interpretazioni logiche… bensì di constatazioni oggettive di natura qualitativa e quantitativa, tali da evidenziare sia sul piano contabile che gestionale-amministrativo il nesso stretto che concorre alla… formazione di ricavi di impresa”; .. il costo, per essere inerente, dovrebbe “concorrere in modo diretto e chiaro alla determinazione dei ricavi”.
In particolare, secondo la Suprema Corte di Cassazione, “la commissione regionale non si è uniformata all’interpretazione che questa corte reputa più corretta in tema di principio di inerenza.
Al riguardo, deve escludersi che la nozione di inerenza si desuma adeguatamente dall’art. 109, comma quinto, del t.u.i.r. (D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 75), per effetto del quale “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”. Dalla lettura di tale disciplina si ricava in via diretta, infatti, meramente il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili (escludendosi la deducibilità dei costi relativi a ricavi esenti), ciò che non afferisce alla nozione di inerenza come in appresso.
Al di là di tale correlazione, invero, il principio di inerenza traduce la diversa necessità (sul piano logico-giuridico, e quindi in via derivata sul piano probatorio) di un nesso di riferibilità delle operazioni comportanti costi – che si assumono sostenuti nell’attività d’impresa – all’esercizio dell’attività stessa. In tal senso, la possibilità di deduzione dei soli costi inerenti si ricava dalla nozione di reddito d’impresa.
In quanto funzionalmente riferibili all’attività imprenditoriale, sono in tal senso inerenti, secondo un giudizio che deve essere di natura qualitativa e oggettiva parametrato alle regole di mercato, anche costi attinenti ad atti di impresa che si collocano in un nesso di programmatica, futura o potenziale proiezione normale dell’attività stessa, senza correlazione necessaria con ricavi o redditi immediati, mentre non sono inerenti – secondo il medesimo giudizio qualitativo e oggettivo di pertinenza del giudice del merito – le operazioni comportanti costi che, siano o meno idonee a recare vantaggio all’attività imprenditoriale, incrementandone ricavi o redditi (secondo un giudizio utilitaristico e quantitativo precedentemente accolto in giurisprudenza – v. da ultimo Cass. n. 10269 del 2017), si riferiscano a una sfera non coerente o addirittura estranea all’esercizio dell’impresa.
In adesione all’indirizzo teso a precisare la nozione di inerenza ora accolto da questa corte (v. ad es. Cass. n. 450 del 2018 resa all’ud. del 03/07/2017, richiamata da Cass. n. 6288 del 2018), va precisato che si pone su un altro piano la valutazione di congruità dei costi (così Cass. n. 450 del 2018 cit.)” (Ordinanza n. 13882 del 31 maggio 2018).
La predetta statuizione conferma l’orientamento giurisprudenziale espresso nell’Ordinanza n. 450 del 2018, nella quale, la Suprema Corte di Cassazione ha espressamente affermato che “va disattesa la definizione della nozione dell’inerenza, utilizzata da parte della giurisprudenza di questa Corte, formulata in termini di suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente e indirettamente, una utilità all’attività d’impresa, e costituente requisito generale della deducibilità dei costi, con richiamo dal predetto art. 75 (in termini, Cass., n. 10914/15).
Tale orientamento, se, da un lato, correla l’inerenza al rapporto tra costi e attività d’impresa (non riducibile, perciò, ad una relazione necessaria del costo con il reddito o con i ricavi), dall’altro pone erroneamente un necessario legame tra il costo e l’attività d’impresa secondo un parametro d’utilità, all’interno di una relazione deterministica che sottende rapporti di causalità.
In altri termini, secondo la tesi criticata, l’utilità deve essere apprezzata considerando anche la dimensione quantitativa della spesa, per cui un costo potrebbe essere inerente anche solo in parte.
Tuttavia, come sopra accennato, l’impiego del criterio utilitaristico non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all’elemento dell’utilità, essendo configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all’attività d’impresa.
Viceversa, l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo.
In questo quadro concettuale, occorre precisare che l’evidenziazione di un comportamento antieconomico in relazione all’imposta sui redditi e dell’iva non può giustificarsi identificando l’inerenza con la sproporzione o l’incongruità dei costi (in tali termini, invece, Cass., n. 10269/17): si è già visto, infatti, che l’inerenza si risolve in un giudizio qualitativo, non quantitativo, e non si ricollega all’art. 75, comma 5Tuir (ora 109), ma è strettamente correlata alla nozione stessa di reddito d’impresa.”
Pertanto, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione sopra citata, il costo per essere inerente e, quindi, deducibile, deve essere correlato all’attività d’impresa, ma non anche necessariamente concorrere alla determinazione dei ricavi.
Conseguentemente, è illegittimo il disconoscimento della deducibilità dei costi, da parte dell’Amministrazione finanziaria, per l’assenza di correlazione con i ricavi conseguiti dall’impresa.
Resta ovviamente aperta la questione sulla congruità dei costi e, quindi, sulla verifica anche dell’”economicità” di essi sulla quale tornerò in un prossimo articolo.
L’Autore:
AVV. Anna Maria Conti

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