Nella recente Sentenza n. 25106 del 2020, depositata in data 10.11.2020, la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi delle operazioni soggettivamente inesistenti ed, in particolare, della prova, incombente sull’Amministrazione finanziaria, in merito alla consapevolezza del contribuente che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta.
Il contenzioso oggetto del giudizio di legittimità trae origini da un due avvisi di accertamento, in cui l’Amministrazione finanziaria contestava l’indetraibilità dell’IVA per operazioni soggettivamente inesistenti. Nello specifico, la ragione della contestazione della natura di operazioni soggettivamente inesistenti era stata fondata sulla circostanza che il contribuente aveva acquistato le autovetture ad un prezzo inferiore rispetto a quanto, a sua volta, il fornitore le aveva pagate.
In primo grado, la società contribuente si difendeva, dimostrando che i prezzi praticati dal fornitore erano in linea con le quotazioni ufficiali di mercato, allegando un prospetto nel quale per ogni singola vettura era indicato il prezzo di acquisto da essa corrisposto, quello di listino desunto da una rivista specializzata e quello di vendita in favore dei propri clienti.
La CTR, nonostante avesse accertato l’effettiva esistenza della società fornitrice, riteneva legittimi gli avvisi di accertamento, individuando come fattore indice dell’inesistenza soggettiva dell’operazione, l’avvenuto acquisto delle autovetture a prezzi fuori mercato e la non occasionalità di rapporti intercorrenti tra le due società concessionarie.
La Corte di Cassazione, nella Sentenza in commento, ha censurato la Sentenza della CTR, per violazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633/1972.
In particolare, i giudici di legittimità, dopo aver premesso che “In caso di operazioni soggettivamente inesistenti è, in primo luogo, l’amministrazione finanziaria che deve fornire la prova della fittizietà del fornitore e della consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, cioè che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale”, e rilevato che “l’effettività dell’esistenza della società fornitrice accertata dal giudice del gravame, nonché gli ulteriori elementi fattuali riproposti in questa sede dalla contribuente, costituiscono fattori che incidono sulla configurabilità dell’elemento oggettivo della natura di operazioni soggettivamente inesistenti in esame …. Ma tale circostanza, unitamente a quella relativa al prezzo di acquisto delle autovetture da parte della ricorrente, assume rilevanza anche ai fini della individuazione dell’elemento soggettivo della operazione in esame … Va, infatti, osservato che la ragione della contestazione della natura di operazioni soggettivamente inesistenti era stata fondata dall’amministrazione finanziaria sulla circostanza che la ricorrente aveva acquistato ad un prezzo inferiore rispetto a quanto, a sua volta, il fornitore le aveva pagate (vd. processo verbale di constatazione, riprodotto a pag. 5, ricorso). Tuttavia, una volta dimostrato dalla ricorrente, secondo gli elementi indiziari anche in questa sede posti in evidenza, che la stessa aveva acquistato, per quanto la riguardava, a prezzi in linea con quelli di mercato, il problema si sposta, allora, sulla condotta dalla stessa esigibile al fine di conoscere che, a propria volta, la propria venditrice, di cui, peraltro, il giudice del gravame ha accertato l’effettiva operatività, aveva acquistato a prezzi superiori rispetto a quelli successivamente applicati alla contribuente, profilo che comunque, deve essere analizzato secondo il principio di corretto riparto dell’onere della prova”, hanno concluso che: “La sentenza censurata, dunque, risulta non in linea con i principi espressi da questa Corte in ordine al riparto dell’onere di prova e degli elementi indiziari sui quali fondare la sussistenza di operazioni soggettivamente inesistenti”.
La Sentenza in commento appare di particolare interesse nella parte in cui sottolinea che la prova della consapevolezza del contribuente che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta, incombente sull’Amministrazione, non può fondarsi su circostanze che non sono da lui conoscibili.
Molto spesso, infatti, l’Agenzia delle Entrate contesta l’indetraibilità dell’IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, facendo riferimento solo a circostanze che non sono nella disponibilità del contribuente. Si pensi, ad esempio, ai numerosi casi in cui l’Ufficio si limita a fondare il proprio atto impositivo sulle circostanze dell’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e dell’omesso versamento delle imposte da parte delle società fornitrici, di cui evidentemente il contribuente non può avere alcuna conoscenza, nemmeno utilizzando la massima diligenza.
In applicazione del principio espresso dalla Corte di Cassazione nella Sentenza in commento, pertanto, nel contestare l’inesistenza soggettiva dell’operazione, l’Amministrazione dovrà effettuare un cambio di rotta, ovvero dedurre, nel proprio atto impositivo, a fondamento della prova dell’elemento soggettivo della frode IVA, esclusivamente circostanze di dominio pubblico che sono accessibili al contribuente. In caso contrario, l’avviso di accertamento sarà considerato illegittimo per violazione dell’art. 19 del Decreto IVA.
L’Autore:
AVV. Anna Maria Conti