Diritto alla detrazione dell'IVA addebitata per errore

Diritto alla detrazione dell’IVA addebitata per errore: regime sanzionatorio
Una delle norme della Legge di Bilancio 2018 che gli operatori economici hanno accolto con maggior favore riguarda la soluzione al problema dell’IVA addebitata dal fornitore al proprio cliente erroneamente o in misura superiore a quella dovuta, anche perché la scelta del Legislatore sembra più conforme alle norme comunitarie così come interpretate dal più stringente orientamento della giurisprudenza comunitaria (sentenze C-424/12; C-564/15) e di legittimità (Cass. 15178/2014; Cass. 20977/2013; Cass. 15068/2013; Cass. 12146/2009).
Alla luce di questo consolidato orientamento interpretativo, la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni e servizi non era ammessa qualora l’operazione risultasse indebitamente assoggettata ad imposta (perché esclusa da IVA, non imponibile o esente), ovvero qualora l’operazione venisse erroneamente assoggettata ad IVA con un’aliquota superiore a quella prevista per la specifica cessione o prestazione poste in essere.
In altre parole, se in fase di controllo l’Amministrazione finanziaria riteneva che fosse stata applicata un’IVA indebita, negava al cessionario o committente il diritto a detrarla. Questi dovevano, pertanto, nuovamente versare l’imposta già pagata al cedente o prestatore in via di rivalsa, con aggravio, inoltre, di interessi e sanzioni (dal 90% al 180 % dell’imposta, a seconda che si trattasse di indebita detrazione o di dichiarazione infedele).
Di conseguenza, per ristabilire l’equilibrio a tutela del principio di neutralità sul quale tale imposta armonizzata si fonda, la procedura era assai lunga e complessa. Infatti, il contribuente doveva chiedere alla controparte la restituzione dell’IVA indebitamente addebitata e versata (facendo eventualmente valere le proprie ragioni in autonomo contenzioso civilistico di ripetizione dell’indebito per ottenere un titolo esecutivo); quest’ultimo poteva quindi ottenere, tramite richiesta all’Amministrazione finanziaria, il rimborso dell’imposta versata. Il tutto per ritornare al punto di partenza: l’Erario doveva comunque restituire l’imposta recuperata con il controllo. Tale impostazione trovava conferma nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, secondo la quale l’esercizio del diritto di detrazione è circoscritto alle imposte corrispondenti alle operazioni soggette ad IVA, versate in quanto dovute (C-35/05 del 2007; C-342/87 del 1989). Per il giudice comunitario, il diritto di detrarre l’IVA fatturata è collegato, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile, non essendo sufficiente la sola indicazione del tributo in fattura, ma essendo necessario che esso sia dovuto ex lege.
Il sistema così delineato incideva in maniera negativa sul principio di neutralità, principio cardine dell’Imposta sul Valore Aggiunto. La neutralità si fonda sull’applicazione dei due principi della rivalsa e della detrazione, secondo i quali il soggetto che effettua l’operazione deve addebitare l’IVA alla propria controparte (rivalsa), la quale, se riveste la qualità di operatore economico, detrarrà l’IVA che le è stata addebitata (detrazione) da quella che deve versare all’Erario.
Non consentendo la detrazione al soggetto che paga l’IVA addebitata in via di rivalsa, veniva leso il principio della neutralità, perché un acquisto effettuato da un soggetto d’imposta viene trattato alla stregua di un acquisto di un consumatore finale. In considerazione dell’argomentata irragionevolezza della disciplina appena descritta, il Legislatore italiano ha, con la Legge di Bilancio 2018 (art. 1, comma 935, L. 27 dicembre 2017 n. 205), modificato l’articolo 6, comma 6, del D. Lgs. 471/1997, prevedendo che “In caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro”.
La norma così riformulata consente, pertanto, al cliente di detrarre l’imposta erroneamente addebitata, con l’applicazione di una sanzione amministrativa ricompresa in una forbice tra 250 e 10.000 euro, e al fornitore concede il beneficio di non essere costretto a restituire l’IVA alla controparte. Nonostante il tenore letterale, la nuova disposizione dovrebbe ritenersi applicabile non solo ai casi di un’aliquota superiore a quella corretta, ma anche alle ipotesi in cui l’operazione sia stata erroneamente considerata imponibile, anziché esclusa, esente o non imponibile. Di conseguenza, se l’imposta è applicata dal cedente o prestatore in misura superiore a quella effettivamente dovuta, resta fermo il diritto alla detrazione per il cessionario o committente. L’errore di chi emette la fattura viene, però, sanzionato in capo al cessionario o committente. Sanzione iniqua perché, pur essendo stato commesso un errore, l’Erario non ne ha subito alcun pregiudizio. Inoltre, perché il destinatario della sanzione individuato dalla legge desta perplessità, in quanto l’errore di applicazione dell’IVA non è stato da lui commesso, bensì dal cedente o prestatore (soggetto che emette la fattura ex art. 21 del dPR 633/72). Né il cessionario o committente aveva la possibilità di opporsi a tale errore poiché, in tal caso, il cedente o prestatore poteva rifiutarsi di effettuare l’operazione. Sarebbe stato, pertanto, più equo assoggettare a sanzione l’effettivo autore dell’errore, ferma restando, comunque, l’oggettiva iniquità di una sanzione che colpisce un comportamento che non causa alcun danno all’Erario, neanche sotto forma di violazione formale, non derivando da tale comportamento una maggiore difficoltà nell’effettuazione di controlli. L’auspicio, pertanto, è che tale sanzione venga sempre applicata nella sua misura minima.
Deve, comunque, accogliersi positivamente una norma in grado, quantomeno, di ridurre le mille complicazioni, talvolta incomprensibili, che irrigidiscono ed appesantiscono a dismisura un sistema che necessita per il suo migliore funzionamento di snellezza, flessibilità e speditezza, nonché di quella fiducia nei rapporti tra contribuente e fisco che sempre di più va perdendosi.
L’Autore:
DOTT. Edoardo Giontella

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