Per stabilire tale principio sono state necessarie le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la recentissima Sentenza n. 2320/2020, ancorché il medesimo fosse chiaramente scritto nella legge (art. 38bis, comma 4, del d.P.R. n. 633/1972) !
La controversia oggetto del suddetto contenzioso derivava dalla richiesta – supportata dalla prestazione di apposita fideiussione, ai sensi dell’art. 38bis del d.P.R. n. 633/1972 – di rimborso di un credito IVA effettuata da una Società. L’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente la sospensione del rimborso, ex art. 23, comma 1, del D. Lgs. n. 472/1997, fino alla definizione del giudizio in corso.
La questione posta all’esame della Suprema Corte era la seguente: se, in caso di richiesta di rimborso di un credito IVA, l’Amministrazione finanziaria che avesse chiesto e ottenuto fideiussione dalla contribuente ai sensi del d.P.R. 633/1972, potesse fare uso anche dello strumento cautelare di cui al D. Lgs. 472/1997, ove contesti al creditore un proprio credito derivante dall’irrogazione di sanzioni conseguenti ad imposte non armonizzate.
Giova, per meri fini di chiarezza, trascrivere il testo delle due norme. Se, infatti, l’art. 23, comma 1, del D. Lgs. n. 472/1997 dispone che “Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi”, l’art. 38bis del d.P.R. n. 633/1972, al comma 4, sancisce che “Sono eseguiti previa prestazione della garanzia di cui al comma 5 i rimborsi di ammontare superiore a 30.000 euro”.
A proposito, è opportuno segnalare come la garanzia (cauzione in titoli di Stato, fideiussione bancaria, polizza fideiussoria) a carico del contribuente, prevista dal decreto IVA, sia particolarmente specifica e gravosa, poiché:
- è prestata per una durata pari a tre anni dall’esecuzione del rimborso;
- nel caso in cui nel periodo relativo al rimborso sia stato constatato uno dei reati di cui agli artt. 2 e 8 del D. Lgs. n. 74/2000, l’esecuzione dei rimborsi è sospesa fino alla definizione del relativo procedimento penale;
- se successivamente al rimborso viene notificato avviso di rettifica o accertamento, il contribuente verso entro sessanta giorni all’Ufficio, le somme che, in base all’avviso, risultano indebitamente rimborsate, oltre agli interessi.
Su tali basi, dopo aver svolto un excursus giurisprudenziale delle pronunce pro-contribuente (Cass. n. 10199/2003; Cass. n. 7952/2004; Cass. n. 15424/2009; Cass. n. 27784/2018; Cass. n. 28739/2018; Cass. n. 2893/2019) e di quelle pro-fisco (Cass. n. 4567/2004; Cass. n. 9853/2011; Cass. n. 9246/2013; Cass. n. 4038/2019), i giudici di legittimità, tirando le fila del discorso, affermano che le due disposizioni in esame non sono connotate da un rapporto di specialità/generalità, ove la disposizione IVA dovrebbe prevalere rispetto all’art. 23 in quanto speciale rispetto a quest’ultimo, ma da un rapporto di alternatività: “a fronte della prestazione della garanzia ed in costanza di sua validità, il fermo cautelare non può essere opposto, e, viceversa, potrà essere opposto nei casi di assenza di garanzia”. Soggiungono, infatti, le Sezioni Unite che l’Amministrazione finanziaria non può “cautelarsi due volte, pur se con finalità diverse, in riferimento allo stesso credito del contribuente e cioè che essa possa emettere il provvedimento di fermo durante il periodo di vigenza della garanzia (cauzione, o fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa, che sia) prestata dal contribuente ai sensi dell’art. 38 bis, del decreto IVA: tale duplice cautela risulta, da una parte, ingiustificata per l’Erario, che può rivalersi sulla garanzia già prestata e a sua disposizione, ed implica, dall’altra, un carico eccessivo per il contribuente, che, oltre all’onere della prestazione della garanzia, vede il medesimo suo credito sottoposto a fermo. Una ricostruzione del sistema di tal fatta si pone, dunque, in contrasto col principio di collaborazione e buona fede che, a norma della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1 (cd. “Statuto del contribuente”) deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, e non tiene conto del principio di solidarietà economica e sociale di cui all’art. 2 Cost., al quale devono ispirarsi, anche, i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino”.
E’ opinione dello scrivente che, nel caso di specie, la duplice cautela pretesa dall’Agenzia delle Entrate, oltreché in contrasto con lo Statuto del contribuente e con l’art. 2 della Costituzione, come giustamente affermato dalla Corte, fosse manifestamente contraria a numerosi altri principi e norme, sia comunitari che costituzionali. E’ tanto sorprendente quanto disarmante come su una questione di sì facile interpretazione (tale da doversi addirittura ritenere ragionevole la richiesta di lite temeraria avanzata dalla Società, peraltro non accolta dai giudici) sia sorto un contrasto giurisprudenziale tale da doversi addirittura scomodare le Sezioni Unite.
Fatta questa doverosa considerazione, finalmente una pronuncia favorevole al contribuente, la quale permette, non certo di riequilibrare un rapporto fisco-cittadino da sempre nettamente sbilanciato a favore del primo, ma quantomeno di dichiarare illegittime le irragionevoli ed azzardate pretese erariali. Con l’auspicio che si inizi, prima o poi, ad utilizzare anche lo strumento della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., onde disincentivare un erario sempre più temerario, che si ritiene “legibus solutus”.
L’Autore:
DOTT. Edoardo Giontella