Il contribuente ha diritto al rimborso degli importi versati all’Amministrazione finanziaria in conseguenza di un avviso di accertamento fondato su fatti materiali ritenuti insussistenti dal giudicato penale, anche se divenuto definitivo

Con la Sentenza n. 11709/24/2022, depositata in data 27.10.2022, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma ha riconosciuto il diritto del contribuente alla restituzione degli importi versati in conseguenza di un avviso di accertamento divenuto definitivo, fondato su fatti materiali ritenuti insussistenti da un giudicato penale.
Orbene, la fattispecie concreta, affrontata dai giudici della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, aveva ad oggetto il silenzio rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso di importi versati in conseguenza di un atto impositivo fondato su fatti materiali ritenuti insussistenti dal giudice penale con sentenza di assoluzione emessa dopo che il predetto avviso di accertamento era divenuto definitivo.

Secondo i giudici di primo grado, il caso concreto sopra descritto deve essere risolto alla luce della Sentenza n. 264 del 1997, in cui la Corte Costituzionale dopo aver sancito che “il potere attribuito all’amministrazione finanziaria di verificare l’eventuale rilevanza fiscale del fatto penalmente accertato, ai fini dei conseguenti provvedimenti, va esercitato in conformità al principio, desumibile dall’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, secondo cui la pubblica amministrazione ha l’obbligo di conformarsi al giudicato dei tribunali”, ha specificato che “al surrichiamato principio di ordine generale l’amministrazione finanziaria deve comunque uniformarsi, in sede di autotutela, nell’adozione dei provvedimenti ivi previsti. D’altronde, l’adeguamento della fattispecie tributaria all’accertamento dei fatti operata dal giudice penale va compiuto, dietro eventuale sollecitazione del contribuente, senza soggiacere al limite temporale della scadenza del termine per l’accertamento tributario … Sicché lo svolgimento di tale attività conformativa avviene a prescindere dal momento in cui si forma il giudicato. Né assume rilevanza la mancata partecipazione dell’amministrazione al giudizio penale, stante il diverso àmbito decisionale di questo rispetto al procedimento amministrativo”.

Alla luce della Sentenza n. 264 del 1997 della Corte Costituzionale sopra trascritta, sussiste in capo all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di revocare l’atto impositivo che si fonda su fatti materiali ritenuti insussistente dal giudicato penale, anche qualora il predetto atto impositivo sia divenuto definitivo e essa non abbia partecipato al giudizio penale.

Nella stessa Sentenza n. 264 del 1997, inoltre, la Corte Costituzionale individua lo strumento processuale esperibile dal contribuente nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria violi il suddetto obbligo di conformarsi al giudicato penale, astenendosi dal revocare/annullare l’atto impositivo fondato sui fatti materiali ritenuti insussistenti dal giudice penale con sentenza divenuta irrevocabile.

Nello specifico, in detta Sentenza n. 264 del 1997, la Corte Costituzionale pronunciandosi sulla questione di illegittimità costituzionale dell’“art. 16 del DPR 636 del 1972 (norma sostituita dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992) nella parte in cui non prevede la possibilità di proporre ricorso in sede tributaria avverso il silenzio-rifiuto dell’amministrazione sull’istanza di revoca dell’accertamento, anche quando ad esso sia successivo il giudicato penale … priverebbe il contribuente della possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa”, ha affermato che “va ribadita la legittimità dell’art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, attesa la sua idoneità a tutelare in modo adeguato il diritto di difesa del contribuente … Tale norma infatti prevede il ricorso, non solo contro i diversi atti “con i quali per la prima volta si è stati messi a conoscenza della pretesa impositiva”, ma anche contro il provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso o il silenzio – rifiuto sulla stessa (v. pure l’art. 19, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, che ha sostituito la norma censurata). Mentre – in difetto del pagamento dell’imposta già definitivamente accertata dall’ufficio tributario, e dunque nell’impossibilità di ricorrere contro l’eventuale rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di rimborso – al contribuente è pur sempre dato di avvalersi dei rimedi apprestati in via generale dall’ordinamento giuridico nei confronti della pubblica amministrazione che ometta di adeguarsi al giudicato penale. Sicché il suo diritto di difesa deve considerarsi pienamente tutelato”.

Secondo la Corte Costituzionale, quindi, il rimedio giudiziale esperibile dal contribuente nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria violi l’obbligo di conformarsi al giudicato penale di cui all’art. 4, comma 2, della L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E (astenendosi dal revocare/annullare l’atto impositivo fondato sui fatti materiali ritenuti insussistenti dal giudice penale con sentenza divenuta irrevocabile), qualora siano stati già corrisposti, all’Agenzia delle Entrate, gli importi intimati nell’atto impositivo divenuto definitivo, è quello del ricorso avverso il “il provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso o il silenzio-rifiuto sulla stessa” previsto dall’art. 19, comma 1, lett. g) del D.lgs. n. 546/1992.

L’Autore: Avv. Anna Maria Conti

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