La Corte di Cassazione disapplica le norme interne in tema di sanzioni doganali applicando il principio di proporzionalità

Come noto, la Corte di Cassazione ha in più occasioni affermato che la sanzione amministrativa tributaria è legittima se non eccede quanto è necessario per evitare l’evasione e tutelare l’interesse fiscale dello Stato alla riscossione del tributo. Diversamente, qualora l’importo dovesse rivelarsi eccessivo, si registrerebbe una violazione del principio di proporzionalità.
In forza di tale principio, alla stregua del quale i mezzi impiegati devono essere adeguati al fine perseguito, l’entità della sanzione tributaria, oltreché idonea a tutelare le ragioni dell’Erario, deve essere adeguata alla gravità della condotta del contribuente e all’entità del tributo cui la stessa si riferisce.

In tema di diritto doganale, nonostante il sistema sanzionatorio sia demandato ai legislatori nazionali, il principio di proporzionalità è stato espressamente codificato a livello unionale (Reg. UE 952/2013) e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha più volte evidenziato come gli Stati, nella scelta delle sanzioni che reputano più appropriate, devono pur sempre esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione Europea.

Svolte queste premesse, la vicenda sottoposta all’attenzione della Corte Suprema riguardava la rettifica, da parte dell’Agenzia delle Dogane, della classificazione doganale attribuita ad un determinato prodotto in sede di importazione. L’Agenzia, in ragione dell’erronea dichiarazione, chiamava il contribuente a versare dazi di importo superiore a quelli precedentemente pagati ed applicava la correlativa sanzione.

La norma, disapplicata dal giudice nazionale -sulla base del principio di preminenza del diritto unionale-, punisce con sanzioni pecuniarie particolarmente gravose il dichiarante laddove non vi sia corrispondenza tra il contenuto della dichiarazione in dogana e quanto è stato accertato con riferimento alla qualità, alla quantità o al valore della merce.

Nello specifico, il comma 3 dell’art. 303 del D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, stabilisce che qualora i diritti di confine complessivamente dovuti siano maggiori di quelli calcolati nella dichiarazione, se la differenza supera il 5 % e se i diritti – come nel caso in esame – sono superiori a 3.999,00 Euro, la sanzione applicabile varia dai 30.000,00 Euro a dieci volte l’importo rettificato (sic!).

Ebbene, i giudici di legittimità, con l’Ordinanza 14908/2022, confermando la statuizione della sentenza d’appello, hanno ritenuto che l’importo della sanzione fosse stato correttamente rideterminato in misura pari all’entità della maggior imposta accertata anziché sulla base del sistema a scaglioni qual è quello adottato dal citato art. 303.

Nonostante la lettera della legge, rilevato che la misura minima della sanzione pecuniaria è rigida e non consente al giudice di ragguagliare la quantificazione della stessa alle circostanze del caso concreto, la Cassazione – attingendo dalla copiosa giurisprudenza in materia di IVA – ha disapplicato la norma interna in forza dei principi di preminenza del diritto unionale.
In altri termini, sebbene il quantum delle sanzioni amministrative il più delle volte debba essere individuato dall’Amministrazione finanziaria entro un limite minimo ed un limite massimo indicato dal legislatore sulla base di criteri quali la gravità della violazione, l’opera svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, la personalità e le condizioni economiche e sociali dell’agente (art. 7 d.lgs 472 del 1997), la Corte ha ribadito che la misura minima della sanzione può essere diminuita in virtù del principio di proporzionalità.

In conclusione, ancora una volta la Corte Suprema rileva una incoerenza del sistema sanzionatorio tributario interno. In assenza di un intervento da parte del legislatore, che colga i moniti provenienti dall’ordinamento europeo, spetta al contribuente eccepire siffatta incoerenza fintantoché la sanzione risulti conforme alle fonti legislative sovranazionali e alle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

L’Autore: Dott.ssa Elise Bini

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