IMU sull’abitazione principale: i coniugi possono scegliere la casa da esentare. Immobili in comproprietà

Come noto, ai fini IMU, per abitazione “principale” si intende l’immobile “nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente” (art. 13, comma 2, D. L. n. 201/2011).
Dal tenore letterale della norma emerge, innanzitutto, che l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare e che non si possa beneficiare dell’agevolazione per più di un immobile, a meno che non si proceda al loro accatastamento unitario.

Ma cosa accade nel caso in cui i coniugi, non legalmente separati, abbiano stabilito la residenza anagrafica in immobili diversi?
Fino a pochi mesi fa, il legislatore disciplinava unicamente l’ipotesi in cui i componenti del nucleo familiare decidono di stabilire la residenza in abitazioni (diverse) situate all’interno dello stesso Comune: in tal caso, come detto, le agevolazioni IMU spettano per un solo immobile. Il contribuente è, pertanto, libero di scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni IMU per questa previste; le altre, invece, andranno considerate come abitazioni diverse da quella principale, con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal Comune per tali tipologie di fabbricati: “Lo scopo di tale norma è quello di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale, e, quindi, la norma deve essere interpretata in senso restrittivo, soprattutto per impedire che, nel caso in cui i coniugi stabiliscano la residenza in due immobili diversi nello stesso comune, ognuno di loro possa usufruire delle agevolazioni dettate per l’abitazione principale e per le relative pertinenze. In particolare, la ratio della previsione normativa è quella di impedire un uso strumentale, non essendo ipotizzabile che due coniugi, a meno che non siano separati di fatto, risiedano e dimorino abitualmente in due appartamenti situati nel medesimo comune. In simile evenienza solo uno dei due immobili beneficerà dell’esenzione e, precisamente, quello che rappresenterà l’abitazione principale del nucleo familiare” (Cass. n. 17408/2021).

Cosa accade, invece, nel caso in cui la residenza dei coniugi sia stabilita in immobili siti in comuni diversi?
A tale domanda rispondeva l’Amministrazione finanziaria con la Circolare n. 3/DF del 2012, affermando che “Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative”, così, in qualche modo, legittimando la doppia esenzione nel caso di immobili non situati nello stesso Comune.
In contrapposizione con la suddetta interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, la Corte Suprema di Cassazione, con molteplici pronunce non proprio costituzionalmente orientate, ha affermato che nel caso di residenze e dimore distinte, se i Comuni delle abitazioni sono diversi, nessuno dei due fabbricati possa considerarsi “abitazione principale” ai fini dell’esenzione IMU (Cass. n. 37344/2021; 36676/2021; Cass. n. 20130/2020).

I giudici di legittimità (Cass. n. 17408/2021) hanno motivato il proprio orientamento sulla base della necessità che, in riferimento alla stessa unità immobiliare, tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare vi dimorino e risiedano stabilmente, e questo in quanto la norma ha in primo luogo “voluto collegare i benefici dell’abitazione principale e delle sue pertinenze al possessore e al suo nucleo familiare e, in secondo luogo, ha voluto unificare il concetto di residenza anagrafica e di dimora abituale, individuando come abitazione principale solo l’immobile in cui le condizioni previste dalla norma sussistono contemporaneamente. (…).
Occorre distinguere l’ipotesi in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, da quella in cui risulti accertato che il trasferimento della dimora abituale di uno dei coniugi sia avvenuto ‘per la frattura del rapporto di convivenza’, cioè di una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della convivenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale (…).

Nel primo caso, infatti, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare. Ciò per impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per la abitazione principale.
Nel secondo caso, invece, la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, comporta una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l’abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale (vedi da ultimo Cass., Sez. 5, n. 15439/19)”.
In altre parole, secondo la Cassazione, l’agevolazione in parola sarebbe nel caso di specie (due immobili siti in Comuni diversi) esclusa per entrambe le abitazioni, in quanto “non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi (…): ciò che assume rilevanza, per beneficiare di dette agevolazioni, non è la residenza dei singoli coniugi bensì quella della famiglia” (Cass. n. 37344/2021).
Tale interpretazione, all’evidenza eccessivamente restrittiva, sarà prossimamente oggetto di scrutinio da parte della Corte Costituzionale (Ord. n. 2985/2021 della CTP di Napoli), la quale dovrà esprimersi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., anche in relazione agli artt. 1, 29, 31, 35 e 47 Cost.
Qualora la Consulta dovesse ritenere incostituzionale la sopra illustrata interpretazione della Cassazione, si aprirebbe l’opportunità per i contribuenti di ottenere il rimborso di quanto illegittimamente versato, ad eccezione dei casi sui quali si sia già pronunciato il giudice con sentenza passata in giudicato.
In caso contrario, fino all’entrata in vigore della modifica normativa di cui ora si dirà, varrebbe quanto sino ad oggi affermato dai giudici di legittimità, ossia che a nessuno dei due immobili siti in Comuni diversi si applichi l’esenzione, salva l’ipotesi della separazione e, comunque, l’operatività per almeno uno di essi dell’art. 10 della L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) sull’esclusione delle sanzioni in caso di accertamento.
E veniamo alla modifica normativa.

Il legislatore è intervenuto uniformando (a partire dal 2022) il trattamento ai fini IMU a prescindere dal fatto che gli immobili si trovino nello stesso Comune o in Comuni diversi (art. 5 decies, D. L. n. 146/2021, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, L. 215/2021). Sarà, dunque, il contribuente, in entrambi i casi, a scegliere (in sede dichiarativa) l’immobile sul quale applicare le agevolazioni.
Ma attenzione, perché per applicare l’esenzione l’immobile dovrà pur sempre costituire dimora abituale e residenza anagrafica, altrimenti non sussisteranno i presupposti per l’agevolazione.
Quid iuris poi per gli immobili posseduti in comunione dai coniugi (sia come regime matrimoniale, che come comunione intesa quale comproprietà)?
In tal caso le regole non cambiano: l’esenzione sarà applicabile per la sola quota di comproprietà, ovviamente sempre ricorrendone i presupposti di cui sopra.
Ne consegue che se la casa in comproprietà fosse dimora abituale e residenza, ben potrebbe essere scelta come abitazione esente da uno o da entrambi i coniugi proprietari d’altra abitazione.
Se a scegliere l’esenzione fosse solo uno dei coniugi, l’altro dovrà corrispondere l’IMU per la quota di comproprietà, con la conseguenza che il coniuge che non opti per l’esenzione, ove proprietario d’altro immobile, dovrebbe pagare l’IMU per entrambi.

L’Autore:
Avv. Edoardo Giontella

 

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