Imposta proporzionale di registro per la scissione che enuncia un precedente finanziamento soci

La Corte di Cassazione non finisce più di sorprendere, con interpretazioni di norme tributarie che non tengono conto della loro formulazione letterale e della evidente ratio.

Con le recenti Ordinanze 6157 e 6158, depositate il 5 marzo 2020, la Suprema Corte ha affermato l’applicabilità dell’imposta proporzionale di registro del 3% ad un atto di scissione, nel quale viene enunciato un precedente rapporto di finanziamento tra i soci e la società.

In concreto, nel caso esaminato, il progetto di scissione prevedeva il passaggio, ope legis, alla società beneficiaria di una posta della società scissa, costituita da un debito nei confronti di soci finanziatori.

Orbene la Suprema Corte ha affermato che, costituendo il finanziamento soci fatto emergere nel progetto di scissione un’enunciazione di un precedente atto non registrato, la medesima dovesse scontare l’imposta proporzionale di registro, ai sensi dell’art. 22 del dPR 131/1986.

Il principio affermato dalla Cassazione si pone in contrasto con quest’ultima norma, sia testualmente sia in relazione alla sua ratio ispiratrice e, in ultimo, anche con riferimento al “faticoso” percorso compiuto dal legislatore che sin dalla riforma tributaria degli anni ’70 aveva escluso una siffatta tassabilità.

Negli anni in cui ho lavorato in Assonime, i miei Maestri – tra cui il compianto Prof. Antonio Berliri – mi hanno insegnato che nell’analisi della norma occorre individuare oltre alla ratio, i relativi presupposti applicativi (oggettivi, soggettivi e temporali) solo in presenza dei quali una fattispecie concreta può essere ricondotta alla fattispecie astratta prevista nel testo di legge.

Orbene la Cassazione si è disinteressata di tali elementari principi interpretativi della norma, applicando una disciplina non più vigente da cinquant’anni.

Nel R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, l’art. 62 prevedeva che “Se in un atto sono inseriti o enunciati altri atti soggetti a registrazione e non ancora registrati, è dovuta non solo la tassa a cui è soggetto l’atto principale, ma anche la tassa e sopratassa che siano dovute per gli atti inseriti o enunciati”.

Poiché era sorto il dubbio se la tassazione dell’atto enunciato si applicasse anche agli atti posti in essere da soggetti diversi rispetto alle parti dell’atto enunciante, il legislatore degli anni ’70, all’epoca molto attento al testo delle norme di legge, aveva risolto testualmente la questione inserendo nell’art. 21 del dPR 634/1973, il presupposto soggettivo di applicazione della norma mediante la locuzione “atti posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione”.

E la medesima locuzione è stata testualmente ripresa anche nell’art. 22 del T.U. dell’imposta di registro (dPR 131/1986).

La ratio di tale inserimento è evidente: evitare la tassazione in capo a soggetti diversi dalle parti dell’atto enunciato.

Lascia, pertanto, perplessi quanto affermato dalla Cassazione in ordine alla tassabilità con imposta proporzionale di registro del 3% di atti posti in essere tra soggetti diversi rispetto alle parti della scissione.

E’, invero, evidente come l’atto di scissione sia stipulato tra la società scissa e quella beneficiaria, mentre l’atto di finanziamento, enunciato con la scissione, è posto in essere tra i soci e la società scissa.

Risulta, dunque, nel caso di specie del tutto carente il presupposto soggettivo di applicazione dell’imposta proporzionale, stabilito nella citata vigente disposizione di legge.

Ne consegue, l’ingiustizia della sentenza emessa dalla Cassazione che si astrae dall’attività nomofiliaca nell’ambito dell’interpretazione delle leggi tributarie.

L’Autore
Avv. Marco Giontella


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