Trattamento di fine mandato (TFM) per la cessazione dell’ufficio di amministratore di società: tentativi di inquadramento sistematico ai fini civilistici e tributari

Come noto, il legislatore ha stabilito, ai fini civilistici, una precisa disciplina volta a regolare lo stanziamento dei compensi per l’ufficio di amministratore di società. In primo luogo, l’art. 2389 c.c. dispone al primo comma che “I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea”. Coerentemente, l’art. 2364 c.c., comma primo, n. 3), prevede che “l’assemblea ordinaria: (…) 3) determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto”. Dunque, salvo previa determinazione dello statuto, gli emolumenti a favore degli amministratori sono stabiliti dall’organo assembleare in un ammontare da corrispondere periodicamente. Ai fini dello stanziamento di tali compensi non sussiste una norma imperativa che ne limiti l’ammontare, ovvero che individui un importo massimo di erogazione ai fini civilistici, salvo quanto precisato dalla giurisprudenza in termini di congruità.

Altrettanto notoriamente, il legislatore ha anche stabilito una precipua disciplina ai fini tributari, a seconda che i compensi riconosciuti agli amministratori siano corrisposti da società di persone fisiche o soggetti IRES. Quanto ai primi, grazie al combinato disposto dagli artt. 60 e 8, comma primo, ultimo periodo, TUIR, si prevede rispettivamente che “Non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dall’imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all’impresa di cui al comma 4 dell’articolo 5”, e “Non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti i compensi non ammessi in deduzione ai sensi dell’articolo 60”. Per quanto concerne, invece, i secondi, l’art. 95, comma quinto, TUIR, dispone che “I compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti; quelli erogati sotto forma di partecipazione agli utili, anche spettanti ai promotori e soci fondatori, sono deducibili anche se non imputati al conto economico”. Sebbene ai fini civilistici non sia previsto una soglia massima alla corresponsione dei compensi di amministratore, si ritiene che tali compensi debbano pur sempre soggiacere, ai fini tributari, ai ben noti principi di congruità, inerenza e ragionevolezza, i quali dominano il tema della deducibilità dei componenti negativi per la determinazione del reddito d’impresa. Tale assunzione trova conforto nell’orientamento prevalente dei Giudici di legittimità, secondo cui “rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa; pertanto la deducibilità dei compensi degli amministratori di società (…) non implica che l’Amministrazione finanziaria sia vincolata alla misura indicata nelle deliberazioni della società, competendo all’Ufficio la verifica della attendibilità economica di tali dati (…) In senso contrario (all’orientamento minoritario, vedasi Cass. del 10 dicembre 2010, n. 24957; Cass. del 14 maggio 2007, n. 10959, e Cass. del 31 ottobre 2005, n. 21155, n.d.r.) si osserva che il mancato riferimento, nel vigente D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 95, comma 3, a tabelle o indicazioni vincolanti che pongano limiti massimi di spesa per i compensi agli amministratori di società od enti di cui all’art. 73, non costituisce valida ragione per derogare alle regole generali in materia di indeducibilità di costi sproporzionati, in quanto tali mancanti del necessario requisito della inerenza in senso quantitativo” (cfr. Cass. del 30 novembre 2016, n. 24379, il cui orientamento è recepito da Risoluzione del 13 ottobre 2017, n. 124/E, e Telefisco 2019, Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2019).

La correlazione della disciplina civilistica e tributaria non è egualmente rispettata per le indennità riconosciute agli amministratori alla cessazione della loro carica, altrimenti note, nel gergo societario, come “Trattamento di Fine Mandato” (d’ora in avanti, TFM). Invero, il legislatore nulla dispone sul punto ai fini civilistici, a differenza di quanto specificatamente previsto dall’art. 2120 c.c., comma primo, per i lavoratori dipendenti, laddove “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5”.
Orbene, quanto al profilo giuridico del TFM, tale fondo di quiescenza diverge significativamente dal fondo di TFR. Come recentemente rilevato dalla Corte di Cassazione con Ordinanza del 6 novembre 2020, n. 24848, non è corretto assimilare il rapporto di lavoro del lavoratore dipendente all’ufficio di amministratore di società, come invece sostenuto dall’Agenzia delle Entrate nel giudizio di specie. L’Amministrazione finanziaria si era già espressa sul punto con risalente Circolare del 26 gennaio 2001, n. 5, laddove aveva chiarito che “L’art. 34 della legge 342 del 2000 ha modificato il trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, disponendone l’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente. Tale assimilazione concerne le modalità di determinazione del reddito del collaboratore ai fini delle imposte dirette, ma non si configura quale assimilazione delle due tipologie di rapporto di lavoro a tutti gli effetti di legge”. L’AdE aveva poi ribadito di recente la bontà delle proprie conclusioni, precisando che “Il TFR infatti risulta regolamentato per legge e quindi è inderogabile ed è tutelato dall’articolo 36 della Costituzione avendo natura retributiva, mentre il TFM non è disciplinato da nessuna norma del codice civile, ha quindi natura pattizia e non è tutelato dall’articolo 36 della Costituzione non avendo natura retributiva” (cfr. Telefisco 2019, Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2019). Anche i Giudici tributari di appello erano stati dello stesso avviso, avendo sostenuto che “il rapporto dell’amministratore con la società è inquadrabile come mandato e non come rapporto di lavoro subordinato” (cfr. CTR Milano, Sentenza dell’11 luglio 2018, n. 3749). Dunque, in assenza di una specifica disposizione normativa, e alla luce dell’orientamento giurisprudenziale e di prassi, la disciplina del TFM non è giuridicamente assimilabile a quella prevista per il TFR, contrariamente a quanto affermato da autorevole dottrina, che riteneva invece corretto utilizzare il parametro indicato dall’art. 2120 c.c. per il TFR – cioè “sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5” – anche ai fini di una determinazione prudenziale del TFM (cfr. Assonime, Approfondimento n. 2 del 2011, pp. 5-7). Ne consegue che l’autonomia contrattuale degli organi societari ben possa sopperire alla lacuna normativa in questione, sancendo espressamente e autonomamente, tramite statuto o delibera assembleare, il diritto, la determinazione dell’ammontare e le modalità di materiale erogazione dell’indennità.

Se dunque, ai fini civilistici, il trattamento di fine mandato è rimesso all’autonomia negoziale degli organi societari, ai fini tributari trova invece dei contorni normativi maggiormente delineati. Generalmente, la disciplina degli accantonamenti al fondo di TFM per le società che corrispondono l’indennità di fine mandato, è rimessa primariamente al combinato disposto dagli artt. 105, comma quarto, e 17, comma primo, lett. c), TUIR, secondo cui, rispettivamente, “Le disposizioni dei commi 1 e 2 valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all’articolo 17, comma 1, lettere c), d) e f)”, e “L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi: (…) c) indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2 dell’articolo 53 (N.D.R.: ora art. 50, comma 1, lett. c-bis) se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto (…)”. A sua volta, l’art. 50, comma primo, lett. c-bis), TUIR, prevede che “Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente: (…) c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società (…)”. A una prima lettura del quadro normativo suesposto, la deducibilità degli accantonamenti ai fondi stanziati per le indennità di quiescenza e previdenza, stabilita nei limiti delle quote maturate nel periodo amministrativo di riferimento, si applica anche alle indennità riconosciute per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, quale l’ufficio di amministratore di società, a patto che il diritto che riconosce tale indennità risulti da data certa anteriore all’inizio del rapporto. Dunque, il soddisfacimento della condizione per cui l’atto debba avere data certa anteriore all’inizio del rapporto parrebbe determinante, prima facie, non soltanto ai fini dell’applicazione del regime di tassazione separata all’indennità di specie, ma anche ai fini della deducibilità per competenza degli accantonamenti al fondo di TFM.

In tal senso si era espressa, in tempi non sospetti, l’Amministrazione finanziaria, precisando che “gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell’esercizio, sempreché il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto” (cfr. Risoluzione del 30 dicembre 1992, n. 890); con la conseguenza che “per i rapporti che non soddisfano tale condizione, viene meno la deducibilità del relativo accantonamento per indennità di fine mandato. La deduzione del relativo costo, pertanto, avverrà nell’anno di effettiva erogazione dell’indennità medesima” (cfr. Risoluzione del 22 maggio 2008, n. 211/E, ribadita da Risoluzione del 13 ottobre 2017, n. 124/E). L’orientamento di prassi è stato generalmente condiviso anche dalla giurisprudenza di legittimità, ove si è statuito che il rinvio effettuato dall’art. 105, comma quarto, all’17, comma primo, lett. c), TUIR, costituisca “rinvio pieno, non limitato all’identificazione della categoria del rapporto sottostante cui si riferisce l’indennità, ma esteso alle condizioni richieste dall’art. 17, lett. c) (…) le ragioni di tale convincimento rinvenibili in sostanza nel criterio generale di ermeneutica ‹ubi lex voluit, dixit›” (cfr. Cass. del 9 agosto 2016, n. 16788; nello stesso senso, vedasi Cass. del 5 settembre 2014, n. 18752, e Cass. del 14 maggio 2007, n. 10959). Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale e di prassi, la risultanza dell’indennità da atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, costituisce condizione ineccepibile ai fini della deducibilità per competenza degli accantonamenti al fondo di TFM. Al contrario, qualora tale requisito non venga soddisfatto, si ritiene “estesa anche al TFM l’applicazione del principio di cassa disposto dall’art. 95, comma 5, TUIR, per i compensi spettanti agli amministratori, e gli accantonamenti in esame sono deducibili dal reddito d’impresa nel periodo d’imposta in cui avviene il pagamento. Le indennità per il trattamento di fine mandato (TFM) hanno, quindi (…) un diverso trattamento fiscale a seconda che le stesse risultino o meno da atto scritto avente data certa anteriore alla data di inizio del rapporto. Ove tale condizione non sia soddisfatta la società può dedurre il TFM in base al criterio di cassa, ovvero all’atto del pagamento” (cfr. Cass. Ordinanza del 19 ottobre 2018, n. 26431). Per giunta, si è ritenuto che la condizione dell’indicazione di una data certa anteriore all’inizio del rapporto debba risultare da uno specifico atto societario, come rilevato dai Giudici di legittimità, secondo cui “Ai fini della deducibilità per competenza dell’accantonamento al TFM, si ritiene necessaria la preventiva formazione del verbale assembleare di nomina degli amministratori e la successiva accettazione da parte di costoro ovvero, in alternativa, una preventiva comunicazione sociale al singolo amministratore, avente data certa e contenente l’indicazione della volontà assembleare di nominare il destinatario della missiva come componente dell’organo di gestione, riconoscendogli il diritto al trattamento di fine mandato” (cfr. Cass. Sentenza del primo luglio 2020, n. 13384). Inoltre, è opinione dei medesimi Giudici che l’importo destinato al fondo di TFM debba essere specificatamente individuato nell’atto statutario o assembleare, tanto è vero che, “Perché possa essere invocata la deducibilità per competenza, ai fini della sussistenza dell’atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto non è sufficiente una generica determinazione di attribuzione del TFM a ciascuno degli amministratori in sede di nomina dei membri del consiglio di amministrazione, senza specificazione del relativo importo. Occorre al riguardo, ai fini della deducibilità col criterio di competenza, che l’importo sia determinato prima dell’inizio del rapporto con atto di data certa anche al fine di evitare, in termini generali, possibili abusi nella immediatezza della chiusura del bilancio”. (cfr. Cass. Ordinanza del 19 ottobre 2018, n. 26431).

A parere di chi scrive, l’orientamento giurisprudenziale e di prassi in merito al requisito della data certa non pare tuttavia condivisibile. Il rinvio svolto dall’art. 105, comma quarto, TUIR, rappresenta non tanto un “rinvio pieno” all’17, comma primo, lett. c), TUIR, quanto più un rinvio limitato esclusivamente alla fattispecie reddituale elencata in quest’ultima norma. E invero, le suddette disposizioni normative dovrebbero leggersi nel senso che la deducibilità per competenza degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza de personale dipendente, prevista dall’art. 105, comma quarto, TUIR, è ammessa anche per gli accantonamenti relativi all’indennità di cui all’art. 17 TUIR, primo comma, lett. c), percepite per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa – qual è l’ufficio di amministratore di società – a prescindere dal requisito della data certa. Interpretata così la norma, l’elemento della data certa sarebbe determinante soltanto ai fini dell’applicazione del regime di tassazione separata sancito dall’art. 17 TUIR, non anche ai fini della deducibilità per competenza degli accantonamenti al fondo di TFM. A supporto di tale assunzione, autorevole dottrina ha ritenuto che “la disposizione dell’art. 105 si riferisca alla tipologia di reddito e cioè all’indennità dovuta per la cessazione della carica e non già ai presupposti per l’assoggettamento a tassazione separata. Pertanto, anche in carenza delle condizioni previste dalla suindicata lett. c) dell’art. 17, l’indennità in questione dovrebbe concorrere alla formazione del reddito d’impresa per la parte di accantonamento maturata nell’esercizio” (cfr. M. Leo, Le Imposte sui Redditi nel Testo Unico, Tomo II, 2018, p. 1924). Nel medesimo senso altra corrente dottrinale, dopo aver sostenuto che “Il richiamo fatto dall’art. 105, comma 4, agli accantonamenti di cui all’art. 17, comma 1, lett. c), (…) è volto solo ad individuare le fattispecie (i.e. gli accantonamenti) deducibili e non anche le condizioni richieste ai fini della relativa deducibilità per la società erogante”, ha esaminato la ratio legis sottostante alle disposizioni normative in commento. In particolare, si è evidenziato che “Quando il legislatore ha introdotto nel Testo unico delle imposte sui redditi l’art. 70, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986 (ora art. 105, comma 4, del D.P.R. n. 917/1986), ben prima della modifica normativa (che ha introdotto il criterio di cassa per la deducibilità dei compensi per gli amministratori, n.d.r.), non aveva ragione di vincolare la deducibilità degli accantonamenti relativi all’indennità di fine rapporto al requisito della data certa dal momento che eventuali preoccupazioni di natura elusiva non avevano ragione di esistere per la deducibilità in capo alla società, in quanto tanto gli emolumenti, quanto l’eventuale accantonamento di fine rapporto degli amministratori, erano comunque deducibili per competenza e non per cassa. Il legislatore dell’epoca non aveva quindi alcun fine anti-elusivo per richiamare non solo la natura ma anche le condizioni previste dall’art. 17, comma 1, lett. c), che prevede come condizione per la tassazione separata in capo al percipiente che l’indennità di fine rapporto venga attribuita con atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto” (cfr. AIDC, Sezione di Milano, Norma di comportamento del primo aprile 2011, n. 180, art. 2). Tantomeno condivisibile è poi l’assunto secondo cui l’importo destinato al TFM debba essere necessariamente determinato. E invero, anche in linea con il principio di determinabilità della prestazione di matrice civilistica e tributaria (vedasi art. 109, primo comma, TUIR), l’indennità di fine mandato può ben essere “determinabile” in virtù di specifici parametri, da verificarsi nel corso dell’incarico di amministratore, quali l’aumento del fatturato, l’efficacia di policy di spending review interne all’azienda, la valutazione di performance individuali, ecc. Anche questo aspetto, dunque, è rimesso alla pattuizione degli organi societari, il che “consente di determinare di anno in anno l’onere di competenza nel rispetto del principio generale posto dall’art. 109 del TUIR” (cfr. M. Leo, Le Imposte sui Redditi nel Testo Unico, Tomo II, 2018, p. 1924). In considerazione di quanto precede, si è dunque dell’opinione che gli accantonamenti al fondo di TFM siano sempre deducibili per la parte maturata nell’esercizio di competenza, determinata a monte o determinabile secondo altri criteri. A nulla rileva, pertanto, l’istante esatto in cui l’indennità di fine mandato viene effettivamente riconosciuta, sia esso antecedente all’inizio dell’ufficio di amministratore, in sede di nuova nomina degli amministratori, ovvero in costanza di rapporto.

Un ulteriore profilo che merita distinta analisi, peraltro oggetto di innumerevoli accertamenti da parte dell’Amministrazione finanziaria, concerne l’esistenza di eventuali limiti quantitativi alla deducibilità delle quote di TFM maturate nell’esercizio di competenza. Sul punto, la recente Ordinanza della Corte di Cassazione, datata 6 novembre 2020, n. 24848, ha rilevato che non è possibile rinvenire “una norma che obblighi le società a provvedere all’ammortamento delle quote del trattamento di fine mandato degli amministratori nelle forme previste per i lavoratori dipendenti”, in tal modo censurando e rigettando la posizione del fisco atta a sostenere “l’esistenza di un obbligo legale di procedere all’accantonamento delle quote per il trattamento di fine mandato degli amministratori, in misura pari a quella prevista per i lavoratori dipendenti”. Alla luce di tale pronuncia, gli accantonamenti di TFM rimarrebbero pur sempre deducibili nei limiti delle quote maturate nell’esercizio di competenza, ma non “in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti” ai sensi dell’art. 105, comma primo, TUIR, posto che tale rinvio comporterebbe la fuorviante applicazione delle regole sancite per la deducibilità degli accantonamenti al fondo di TFR. Data tale interpretazione, dovrebbe allora ritenersi prevalente l’orientamento dei giudici di merito pro contribuente, secondo cui “il legislatore non ha posto un tetto massimo di deducibilità dell’accantonamento periodico al fondo TFM e, tanto meno, ha disposto che l’accantonamento di cui si discute debba essere limitato al valore fisso convenzionale pari al numero di mensilità (13,5) a cui i lavoratori subordinati hanno diritto”. (cfr. CTR Torino, Sentenza del 21 ottobre 2020, n. 618, e CTR Milano, Sentenza del 3 dicembre 2018, n. 5280; nello stesso senso, vedasi CTR Milano, Sentenza del 4 ottobre 2019, n. 3795, CTR Milano, Sentenza dell’11 settembre 2018, n. 3749, e CTP Reggio Emilia, Sentenza del 23 ottobre 2020, n. 199); a discapito dell’orientamento pro fisco, secondo cui “un’interpretazione sistematica delle disposizioni fiscali in materia imporrebbe all’accantonamento di fine mandato le medesime limitazioni previste per l’accantonamento di fine rapporto di lavoro dipendente. Quindi l’accantonamento al trattamento di fine mandato operato in misura superiore al compenso annualmente stabilito all’amministratore, diviso 13,5, sarebbe fiscalmente indeducibile” (cfr. CTR Milano, Sentenza del 22 settembre 2020, n. 1931; nello stesso senso, vedasi CTR Latina, Sentenza del 25 giugno 2018, n. 4375, CTR Napoli, Sentenza del primo dicembre 2015, n. 10730, e CTP Treviso, Sentenza del 24 agosto 2018, n. 268).

A voler condividere l’orientamento di merito prevalente, che pare maggiormente in linea con le considerazioni sin qui svolte, ne consegue l’opinabilità dell’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, che, con riferimento alla deducibilità degli accantonamenti al fondo di TFR, aveva chiarito che gli “accantonamenti stanziati in bilancio per un importo superiore al limite massimo fiscalmente consentito non saranno deducibili dal reddito imponibile; per tali eccedenze, in sede di dichiarazione dei redditi, si renderà necessario operare la ripresa a tassazione mediante variazione in aumento di pari importo. Nel caso in cui, invece, l’accantonamento appostato in bilancio sia di importo inferiore al limite di cui al citato articolo 105, sarà possibile effettuare una deduzione extracontabile, fino a concorrenza del limite massimo fiscalmente rilevante, ai sensi dell’articolo 109, comma 4, lettera b), secondo periodo, del TUIR” (cfr. Risoluzione del 16 novembre 2006, n. 133/E). Ergo, essendo l’istituto del TFM non specificatamente disciplinato da norme imperative, non possono rinvenirsi limitazioni quantitative alla deducibilità per competenza degli accantonamenti al fondo di TFM, se non quelle riconducibili ai principi generali di congruità, inerenza e ragionevolezza, di cui ampiamente discusso.
Per quanto concerne, invece, il regime impositivo applicabile all’amministratore di società nei cui confronti si corrisponde l’indennità di fine mandato, si rileva quanto segue. In primo luogo, l’indennità di fine mandato costituisce reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 50 TUIR, laddove, al comma primo, lett. c-bis), si dispone che “Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente: (…) c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società (…)”. Individuata la categoria reddituale a cui ascrivere l’indennità in discorso, occorre stabilirne il corretto regime impositivo. Il richiamo effettuato dall’art. 17, comma primo, lett. c), TUIR, alle “indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’art. 50, comma primo, lett. c-bis)” ammette l’assoggettamento a tassazione separata a patto che “il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto”. Dunque, il requisito dell’atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, costituisce la condicio sine qua non soltanto per l’applicazione del regime di tassazione separata ex art. 17 TUIR, non anche per la deducibilità per competenza degli accantonamenti al fondo di TFM. E infatti, come osservato da attenta dottrina, “l’art. 17 citato contiene i limiti e le condizioni che il soggetto percettore dell’indennità di fine rapporto deve rispettare per poter usufruire del più favorevole regime di tassazione separata”. (cfr. AIDC, Sezione di Milano, Norma di comportamento del primo aprile 2011, n. 180, art. 2). In merito alla condizione della data certa l’Agenzia delle Entrate, a titolo meramente esemplificativo, e rinviando alla disciplina di matrice civilistica ex all’art. 2704 c.c., ha individuato una serie di eventi che attesterebbero il soddisfacimento del requisito in commento, tra cui “la formazione di un atto pubblico; l’apposizione di autentica, il deposito del documento o la vidimazione di un verbale, in conformità alla legge notarile; la registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio pubblico; il timbro postale che deve ritenersi idoneo a conferire carattere di certezza alla data di una scrittura tutte le volte in cui lo scritto faccia corpo unico con il foglio sul quale il timbro stesso risulti apposto. Ciò in quanto, come riconosciuto dalla giurisprudenza, la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui è stata eseguita (Cassazione, Sez. I, Sent. 19 marzo 2004, n. 5561); l’utilizzo di procedure di protocollazione o di analoghi sistemi di datazione che offrano adeguate garanzie di immodificabilità dei dati successivamente alla annotazione; l’invio del documento ad un soggetto esterno, ad esempio un organismo di controllo” (cfr. Circolare del 16 febbraio 2007, n. 10/E).

Osservato il requisito di cui discorso poc’anzi, l’assoggettamento a tassazione separata costituisce una rilevante agevolazione per l’amministratore percipiente l’indennità di fine mandato, posto che, ai sensi dell’art. 21, comma primo, TUIR, “Per gli altri redditi tassati separatamente, ad esclusione di quelli in cui alla lettera g) del comma 1 dell’articolo 17 e di quelli imputati ai soci in dipendenza di liquidazione, anche concorsuale, di cui alla lettera l) del medesimo comma 1 dell’articolo 17, l’imposta è determinata applicando all’ammontare percepito, l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui è sorto il diritto alla loro percezione ovvero, per i redditi e le somme indicati, rispettivamente, nelle lettere b), c-bis) e n-bis) del comma 1 dell’articolo 17, all’anno in cui sono percepiti”. Essendo ascrivibile l’indennità di fine mandato alla sottospecie di cui alla lett. c-bis), si rende applicabile all’ammontare percepito dall’amministratore, l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui tale indennità è percepita, anziché le aliquote progressive per scaglioni previste dall’art. 11, comma primo, TUIR. Tuttavia, come previsto dal medesimo art. 21, comma terzo, “Se in uno dei due anni anteriori non vi è stato reddito imponibile si applica l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto dell’altro anno; se non vi è stato reddito imponibile in alcuno dei due anni si applica l’aliquota stabilita all’art. 11 per il primo scaglione di reddito (23%, n.d.r.)”. In caso di assoggettamento a tassazione separata, il prelievo tributario avviene in due distinti momenti. In un primo frangente, trova applicazione l’art. 24, comma primo, ultimo periodo, del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, in materia di accertamento, per cui “Sulla parte imponibile dei redditi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera c), del (TUIR, n.d.r.), la ritenuta è operata a titolo di acconto nella misura del 20 per cento”. In un secondo momento, gli Uffici liquidano l’imposta definitiva applicando l’aliquota corrispondente al reddito medio del biennio precedente. Tuttavia, l’applicazione del regime di tassazione separata può rivelarsi in alcuni casi non conveniente per l’amministratore. Ciò, ad esempio, accade “quando redditi dichiarati nel biennio di riferimento siano molto più elevati rispetto a quello dell’anno in cui viene percepito il trattamento di fine mandato” (cfr. Assonime, Approfondimento n. 2 del 2011, p. 8). In tal caso, è allora l’amministratore a valutare la convenienza di un’eventuale applicazione separata dell’imposta, nella piena osservanza dell’art. 21, comma terzo, primo periodo, TUIR, secondo cui “Per i redditi indicati alle lettere da d) a f) del comma 1 e per quelli indicati alle lettere da g) a n-bis) non conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali, il contribuente ha facoltà di non avvalersi della tassazione separata facendolo constare espressamente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui è avvenuta o ha avuto inizio la percezione”. Dunque, dovesse l’amministratore ritenere l’assoggettamento a tassazione separata meno conveniente dell’assoggettamento a quella ordinaria, avrebbe rilevanza l’art. 17, comma terzo, ultimo periodo, TUIR, secondo cui gli Uffici farebbero “concorrere i redditi stessi alla formazione del reddito complessivo dell’anno in cui sono percepiti, se ciò risulta più favorevole per il contribuente”. In ogni caso, l’applicazione della disciplina suesposta presuppone il soddisfacimento del requisito della data certa, di cui ampiamente dibattuto; al contrario, qualora tale criterio dovesse non sussistere, è pacifico che il regime di tassazione ordinaria troverebbe automaticamente applicazione in luogo del regime di tassazione separata e, dunque, l’indennità di fine mandato concorrerebbe alla determinazione del reddito complessivo percepito dall’amministratore nel periodo di imposta di riferimento.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si volge alle seguenti conclusioni. In primo luogo, è opinione di chi scrive che l’indennità di fine mandato – il cui ammontare, determinato o determinabile, risulta da atto statutario o assembleare – soggiaccia ai principi di congruità, inerenza e ragionevolezza dominanti la deducibilità dei componenti negativi di reddito. In secondo luogo, con riferimento alla società erogatrice dell’indennità in questione, si crede che gli accantonamenti al fondo di TFM siano sempre deducibili, previa imputazione a conto economico, per la quota maturata nell’esercizio di competenza, a prescindere dall’indicazione di una data certa anteriore all’inizio dell’ufficio di amministratore, e senza restrizioni quantitative assimilabili a quelle stabilite per i lavoratori dipendenti. In ultimo, con riferimento all’amministratore percipiente l’indennità in commento, si ritiene che l’individuazione del regime impositivo applicabile, di carattere ordinario ovvero separato, sia demandato a una valutazione di convenienza dell’amministratore se e solo se il diritto che riconosce l’indennità risulti da data certa anteriore all’inizio dell’incarico; in caso contrario, l’indennità è sempre assoggettata a tassazione ordinaria, concorrendo alla formazione del reddito complessivo dell’amministratore nel periodo d’imposta di riferimento.

L’Autore:
DOTT. Simone Ferrucci

 

Le Sezioni Unite Si Pronunciano Sulle Regole Di Assoggettamento Ad Imposta Di Registro Per Gli Atti Che Enunciano Disposizioni Di Altri Atti – Aumenti Di Capitale Con Rinuncia Al Credito Da Finanziamento SociIl contribuente ha diritto al rimborso degli importi versati all’Amministrazione finanziaria in conseguenza di un avviso di accertamento fondato su fatti materiali ritenuti insussistenti dal giudicato penale, anche se divenuto definitivoDiritto al rimborso dell’IMU versata sull’abitazione principale dell’altro coniuge: la Sentenza della Corte Costituzionale n. 209 del 2022La Corte di Cassazione disapplica le norme interne in tema di sanzioni doganali applicando il principio di proporzionalitàNuovo Codice della Crisi e della Insolvenza e adozione del Modello 231: un passo ulteriore verso l’obbligatorietà de facto